di Camilla Pieretti

Dal 20 al 27 aprile 2025, un gruppo di istruttori della Scuola di scialpinismo Mario Righini e accompagnatori del Gruppo gite sociali Paolo Re ha celebrato i 60 anni della Scuola Righini ricalcando le orme della spedizione alpinistica italo-turca al monte Ararat degli anni Settanta.

L’obiettivo era salire il celebre monte biblico, con i suoi 5.137 m di altezza, ma per riuscirci occorreva un adeguato acclimatamento sia alla quota sia alle condizioni locali. Pertanto, la spedizione includeva anche la salita di tre cime tra i 3500 e i 4000 m attorno al lago di Van.

Tutti e 20 i membri del gruppo hanno partecipato con grande entusiasmo e affiatamento, consentendo la buona riuscita dell’impresa, senza far mancare risate e divertimento!

Andrea Landini (IS), Andrea Vandoni (AGS), Camilla Del Borrello (AGS), Camilla Pieretti (AGS), Cecilia Massari (accomp.), Cristiano Fava (IS), Federica Robiglio  (IS), Francesca Vagliani (ISA), Francesco Morerio (ISA-IA), Gabriele Luddi (ASP), Giacomo Cesarini (ASP), Leonardo Sala (ISA), Marcello Rinaldi (IS), Marco Santorini (ISA), Martin Sirtori (ISA), Matteo Fava (accomp.), Mecki Agostoni (IS), Pietro Saccani (IS), Thomas Danti (IS), Umberto Locatelli (ISA).

20 aprile – Si parte!

Partenza da casa alle 3 del mattino per arrivare alla Malpensa in tempo per il nostro volo e iniziare ad abituarci ai “comodi” orari della settimana. Il morale è alto e il gruppo carico, tanto da non farsi fermare nemmeno dalla notizia che per la Turkish Airlines il bagaglio sportivo è incluso nei 23 kg di carico da stiva pro capite. Miracolosamente riusciamo a non pagare supplementi e ben presto siamo sull’aereo che ci porta a Istanbul. Qualche ora di cambio, un volo interno e nel pomeriggio atterriamo finalmente a Van, tra distese di terra brulla e montagne solitarie di cui presto impareremo a conoscere bene le cime candide.

Dopo un breve viaggio in pulmino con la colonna sonora di “Cuoricini” e “Bella ciao” in versione balcanica, ci sistemiamo nelle camere del Reform Hotel. In un attimo è già ora di cena e ci abbuffiamo di zuppe, spiedini, melanzane, carni varie e baklava.

21 aprile – Başet Dağı, 3.612 m

Sveglia alle 5:30, colazione a buffet e via sul pullman. In circa mezz’ora arriviamo a un villaggio di pastori che ci guardano straniti mentre calziamo gli scarponi e fissiamo gli sci agli zaini per i primi 150 m di portage. A quota 2.650 m riusciamo a mettere gli sci e saliamo a ritmo piuttosto vario. Il gruppo di testa sceglie di tenere la sinistra e seguire tracce preesistenti lungo la spalla, mentre qualcuno più indietro spera di evitare il forte vento che si vede già soffiare sulla cima andando sullo spallone destro. Per fortuna su c’è un casotto di pastori che, pur essendo inagibile perché pieno di neve, ci ripara dalle raffiche e ci consente di aspettarci quasi tutti in vetta. Scendiamo con il cielo che si sta chiudendo e il vento che rinforza, per cui i più leggeri faticano un po’ a fare le prime curve sulla dorsale, ma poi la montagna ci regala una discesa su neve trasformata spaziale.

Tornati in pulmino sogniamo solo una doccia, ma la nostra guida locale, Volkan, ha un’altra idea: c’è da visitare il castello di Van! Ci rifocilliamo con un kebab al volo da un benzinaio, poi saliamo a visitare le rovine da cui si gode di uno splendido panorama sulla città, il lago e le montagne che li circondano.

22 aprile – Artos Dağı, 3.550 m

Sveglia alle 5, un’oretta di viaggio e presto ci rendiamo conto che anche oggi le speranze di partire sci ai piedi sono abbastanza vane. I pulmini riescono miracolosamente a salire sullo sterrato degno di un 4×4, ma a 1.960 m anche loro devono fermarsi. Carichiamo gli zaini e partiamo sotto una pioggerellina sottile. Dopo 250 m di portage, però, troviamo un canale infossato tra le rocce che, per quanto stretto e ripido, è percorribile con gli sci, per cui non ci facciamo pregare!

Arrivati verso i 3.200 m, tuttavia, il brutto tempo anticipato dalle previsioni arriva puntualissimo, ma in maniera forse più istantanea di quanto ci aspettassimo: facciamo appena in tempo a notare le prime nubi minacciose che ci troviamo avvolti da una vera e propria bufera di neve, che ci imbianca in pochi secondi. Nonostante l’impressione che mancasse ormai “poco” alla vetta, la cresta è lunga ed esposta, per cui preferiamo ripiegare. La bufera finisce in fretta come è arrivata, ma le nubi non si diradano.

Discesa su neve collosissima, che trattiene gli sci più dove è bianca che dove è sporca, ma alla fine ci consoliamo con i salami e il parmigiano di Marce!

Ripartenza per Tatvan, sulla sponda occidentale del lago di Van, ma prima ci fermiamo all’isola di Akdamar a visitarne l’antico monastero, risalente al X secolo d.C., e a fare un giro panoramico dell’isola. L’arrivo in albergo è tragicomico, dato che, ormai ferratissimi nelle nostre “catene” di bagagli, presto invadiamo la hall dell’albergo a 5 stelle di borsoni, sci e scarponi puzzolenti, sotto lo sguardo inorridito dei receptionist.

23 aprile – Riposo

Dato il brutto tempo e le previsioni per l’Ararat, che consigliano di far slittare di un giorno la salita, decidiamo di prenderci un giorno di pausa. Tuttavia, non possiamo certo stare fermi: ecco allora che si decide di andare a visitare il Nemrut Gölü, un cratere vulcanico mezzo riempito da un lago. Saliamo 300 m di dislivello nella nebbia e alla fine il lago lo vedremo solo dall’aereo, ma la passeggiata contribuisce a rafforzare lo spirito del gruppo.

Pomeriggio lungolago a bere tè e chiacchierare, cena in un ristorante vista lago con dell’ottimo ayran e poi a nanna, carichi di energie per i giorni successivi.

24 aprile – Süphan Dağı, 4.068 m

Sveglia alle 2:30, “leggiadra” colazione al sacco a base di pane, frittata, pomodoro e formaggio e via! Le prime luci dell’alba all’arrivo, qualche ora dopo, ci rivelano che la neve è molto, mooolto lontana…

Carichiamo sci e scarponi sugli zaini e partiamo tra terriccio e sterpaglie, con la cima che ci osserva sbeffeggiante tra forti sbuffi di vento.

Dopo circa un’ora di faticoso cammino e quasi 300 m di dislivello (2.600 m), arriviamo finalmente alla prima lingua di neve e possiamo alleggerirci un po’. Saliamo con passo deciso sul bel pendio regolare anche quando il vento si fa sempre più forte, spingendoci quasi indietro nel traverso. Raggiunto il deposito sci, a circa 3.900 m, calziamo i ramponi e affrontiamo gli ultimi metri tra grossi roccioni coperti di galaverna. Per sbucare in cima bisogna stare a testa bassa, ma poi ci si può far tenere in piedi dalle raffiche che spazzano incessanti il terreno tutto attorno. La lunga discesa va dalla crostina portante al firn alla pappa finale, in cui gli sci si incollano un po’ sì e un po’ no. Rimettersi tutto in spalla è una tortura, anche perché gli sci sono fradici e gli scarponi mezzi infangati, ma resta la soddisfazione di aver concluso una gita impegnativa e meravigliosa.

Ripartenza per Doğubeyazıt con stop di un’oretta a Erçis per chi vuole pranzare, mentre gli altri vengono avvicinati dalla gente del luogo, incuriosita dalle nostre facce occidentali e dalle giacche blu elettrico. Alla fine risaliamo sul pulmino e, dopo qualche ora di dormiveglia, all’improvviso eccolo spuntare tra le nebbie: l’Ararat, che si erge solitario e maestoso in mezzo al nulla. Scattiamo mille foto da dietro i vetri lerci, sempre più emozionati per quello che ci aspetta.

25 aprile – Campo base, 3.400 m

Alle 9 lasciamo l’ottima accoglienza dell’Ertur Hotel con i borsoni pronti, mezz’oretta di pulmino (questa volta sì con il 4×4) e a 2.200 m veniamo raggiunti dalla nostra guida d’alta quota, Mehmet, e dai cavalli che porteranno la nostra attrezzatura. Ci stupisce vedere che tra loro ci sono anche molte cavalle con puledrini, di cui anche uno di 2 giorni!

Ci avviamo “yavaş yavaş”, piano piano, come piace a Mehmet, prima su strada sterrata e poi su per sentieri che tagliano i tornanti. Dopo circa un’oretta, come da previsioni, comincia a piovere con una certa insistenza: siamo tutti dotati di strati tecnici impermeabili, ma c’è chi si ritrova comunque fradicio! Per fortuna dopo un po’ smette e il venticello contribuisce ad asciugarci, ma dopo altri 300 m comincia la neve, così alta da non risparmiare buona parte delle scarpe…

Arriviamo al campo base nella nube e, se per un attimo sembra che il sole torni a fare capolino, presto dobbiamo ricrederci: appena ci danno i sacchi con le tende da montare, infatti, inizia una bufera che ci strappa i teloni e li ricopre di pallini ghiacciati. Alla fine, però, riusciamo a montare tutto e anzi, c’è chi si esibisce in vere opere di ingegneria per dormire quanto più riparato possibile.

Merenda, preparazione degli zaini per il giorno dopo, foto del tramonto e poi si cena con zuppetta, verdure, fragole, pollo speziato, riso e yogurt. Alle 19:30 siamo già nei sacchi a pelo, a cercare di prendere sonno tra il vento che soffia e i cani che abbaiano per tenere lontane le volpi dalla dispensa.

26 aprile – Monte Ararat, 5.137 m

La sveglia suona alle 2:10, ci copriamo con tutto quello che abbiamo, colazione, rampant e alle 3 ci avviamo nella notte, seguendo la lucina del Mecki, che era partito con Mehmet un’ora e mezza prima. Il passo è buono ma tranquillo, per cui il gruppo riesce a procedere bello compatto.

Dopo qualche ora, l’alba illumina il cielo di rosa, proiettando l’imponente sagoma della montagna sul terreno più in basso. Continuiamo a salire sul pendio duro ma regolare con un’ottima andatura, anche se a un certo punto ci accorgiamo di essere leggermente fuori traccia e dobbiamo fare un breve traverso tra i sassi coperti di ghiaccio per tornare nella direzione giusta.

A 4.550 m lasciamo gli sci e indossiamo i ramponi in un panorama di rocce coperte di galaverna che ha qualcosa di surreale. L’aria è più sottile e il vento in aumento, per cui piantiamo bene gli sci, aggiungiamo qualche strato e iniziamo a salire. Da qui in poi il gruppo si sgrana un po’, ognuno a far fronte al vento, alla fatica e alla carenza di ossigeno a modo suo.

Il terreno non è particolarmente duro, per cui si riesce a fare una bella traccia che sale piuttosto decisa, ma le raffiche sono sempre più forti e “cattive”, per cui procediamo a testa bassa, concentrati sul passo successivo e sul muovere le dita per non farle raffreddare. Arrivati all’anticima, ormai a 5.000 m, cominciano i cedimenti: qualcuno per il freddo, altri – proprio sull’ultimo pendio – perché per ogni passo avanti il vento ormai furibondo ne fa fare tre indietro, per cui diventa impossibile procedere. L’aria gelida e ormai molto rarefatta sembra risucchiare l’aria dai polmoni, rendendo il tutto ancora più difficile. La maggior parte del gruppo però stringe i denti, fa appello a tutte le forze residue e con grande determinazione riesce ad arrivare in vetta! La soddisfazione è tanta ma il freddo e la stanchezza pure, per cui, dopo qualche abbraccio celebrativo e le foto con l’immancabile gagliardetto è tempo di tornare giù.

In discesa ci fermiamo un momento a lasciare una targa in ricordo di Massimo Minotti, ex Presidente del CAI Milano, ISA e “motore” inesauribile della scuola, mancato lo scorso anno, poi mettiamo gli sci e ci godiamo 1.200 m di neve spettacolare che ci regala lunghe serpentine. Purtroppo l’entusiasmo lascia anche un infortunato, che però riesce a tornare al campo base sulle sue gambe e poi proseguirà a cavallo.

Tornati alle tende, però, la giornata non è finita: bisogna rifare i borsoni e poi scendere altri 1.200 m a piedi per tornare a Doğubeyazıt. Questa è forse la parte più faticosa della giornata, in cui le ginocchia cominciano a protestare, ma alla fine arriviamo tutti giù, in un modo o nell’altro. Recuperiamo le cose che avevamo lasciato in albergo, ci godiamo un ultimo tavuk şiş e poi dormiamo tutte le tre ore di pullman fino a Van!

27 aprile – Ritorno a casa

Salutiamo Volkan, imbarchiamo i bagagli e via, è già ora di tornare a casa! I voli procedono bene almeno fino all’ultimo, quando rimaniamo bloccati 40 minuti sull’aereo per non meglio definiti “controlli sanitari” e poi ci tocca aspettarne altri 20 per ricevere le sacche sci, che a quel punto sono bagnate fradice.

Perché, per citare il nostro poeta Thomas,

“Pensavamo che la fatica fosse l’ascesa,

invece era dei bagagli l’attesa!”