Marco Polo aveva particolarmente sofferto durante l’ultimo viaggio sul K2. Aveva assistito ad una delle più grandi tragedie avvenute in altissima quota e il non aver potuto salvare Julie Tillis lo aveva ferito immensamente. Certo, era riuscito a contribuire a salvare Kurt Diemberger, nonostante i gravissimi congelamenti che lo avevano colto. L’amarezza però era grande e non poteva certamente essere mitigata nemmeno da questo eccezionale salvataggio. Ma allora, si chiedeva continuamente, quale era il senso di questi suoi viaggi nel tempo? Chi era Colui che decideva il suo approdo nel passato e quale era il disegno più grande che stava dietro a tutto questo? Non riusciva mai a tornare a casa, ma era continuamente trasportato da una montagna all’altra, da una tragedia ad un’altra, spesso senza poter salvare tutti coloro che incontrava. Ma, pensò ancora, e se il suo compito fosse stato proprio quello di essere lui il destino di quegli uomini e di quelle donne, il Buon Destino che li soccorreva e li accompagnava nei momenti più difficili della loro esistenza, quando stavano per abbandonare ogni speranza di salvezza? In fondo, tutti vorremmo avere qualcuno che ci sia vicino nelle nostre giornate più amare e più drammatiche, qualcuno che sia il nostro amico più fedele. Se era così, allora Marco era disposto a sacrificarsi e a rincorrere il tempo che quello strano progetto gli concedeva ogni volta. Mentre pensava così, si trovò improvvisamente trasportato ancora nel…

1986 – Renato e Goretta Casarotto sul K2 – 8611 m.

6) “Goretta e Renato Casarotto – Una vita tra le montagne – di Goretta Traverso – Presentazione di Walter Bonatti – De Agostini Editore – Novara – 1996 – segn. Biblioteca N268

Marco si ritrovò nuovamente sul K2 e nuovamente nel 1986! Non riusciva a capire cosa fosse successo. Forse il suo compito nel precedente viaggio non era stato completato o forse gli veniva chiesto di fare ancora qualcosa in quel luogo e in quel tempo. Allora cercò di ricordarsi quali alpinisti erano presenti sulla montagna in quei terribili giorni di tempesta e, in quel momento, vide una bellissima coppia che davvero sembrava una persona sola: erano Renato Casarotto e sua moglie Goretta.

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Renato Casarotto era un alpinista che ha rappresentato una pietra miliare dell’alpinismo dolomitico, europeo, extraeuropeo ed himalayano e, soprattutto, in solitaria. Oltre che progettare e realizzare le sue eccezionali imprese, Renato considerò la pratica alpinistica come ricerca anche interiore e come esplorazione e coltivò il desiderio di spingersi oltre i confini rappresentati dai propri limiti e dalla realtà della vita quotidiana (all’inizio lavorava come infermiere professionale al Pronto Soccorso della stazione ferroviaria di Vicenza). Alcune delle sue imprese rappresentano ancora oggi un momento di svolta e di novità assoluta, ma anche il suo amore con Goretta fu un meraviglioso sogno che si realizzò per loro quasi casualmente, ma che bruciò le tappe della loro vita, un fuoco che rimase sempre acceso per i successivi 13 anni, fino appunto al 1986 (si fidanzarono nel 1973, dopo che si erano conosciuti solo da una ventina di giorni. Si sposarono dopo due anni e condivisero insieme anche tutte le salite in montagna di Renato. Goretta infatti era sempre al campo base ad attenderlo).

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Ma forse, più di tante parole, per capire l’amore che li legava è meglio leggere la meravigliosa dedica che Goretta scrive a Renato nell’introduzione del libro: “Non desidero pormi di fronte al Lettore come l’ennesima alpinista che racconta le sue imprese, ma come una donna che si è trovata a percorrere un tratto di strada dai contorni molto diversi rispetto a quelli da lei in precedenza considerati normali. Con questo libro ho ripercorso il mio passato: un viaggio di undici anni accanto a un uomo che aveva trovato nella montagna il mezzo per esprimersi e per esplorare sé stesso. Un mezzo che anch’io, attraverso Renato, ho conosciuto e abbracciato completamente. […] Ora che il mio viaggio a ritroso nel tempo è terminato, ho la consapevolezza che questo fosse per me un passaggio obbligato. Niente nasce per caso: attraverso il mio passato ho capito meglio il mio presente e la strada che va verso il futuro. Queste pagine sono nate dal desiderio di proseguire il dialogo che Renato ha dovuto interrompere e che io stessa non sentivo concluso. Una promessa fatta a me stessa e a lui dopo la sua morte. Il libro narra le fasi principali di una vita in comune, insolita ed entusiasmante come un sogno. Un sogno finito troppo presto, ma che valeva la pena di condividere. A Renato”

Marco ricordava bene la precedente occasione in cui era stato sul K2: troppo poco tempo era passato da quando aveva assistito fino alla salvezza Kurt Diemberger. Durante il suo precedente viaggio aveva anche visto Julie Tillis (poi morta nella successiva discesa iniziata con Kurt) mentre assisteva Goretta dopo la terribile notizia della morte di Renato per gli effetti di una caduta in un crepaccio, a soli venti minuti dal campo base.

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Renato era stato sul K2 una prima volta nel 1979, ma allora la spedizione si era conclusa con un amaro insuccesso, accompagnato anche da feroci polemiche che avevano amareggiato moltissimo Renato. Il ritorno nel 1986 fu una sorta di rivincita e di riaffermazione della sua logica alpinistica. Renato aveva scelto la salita dal versante Sud, attraverso lo sperone Sud-Sudovest: una delle vie più difficili, resa ancora più difficile dal fatto che Renato voleva tentarla da solo, come spesso faceva. Marco gli disse subito: “No, Renato, no: è troppo difficile. Non salire da solo”. Anche Goretta esponeva a Renato i suoi dubbi: ciononostante, egli tentò lo stesso di salire in cima una prima volta, ma il terribile maltempo lo costrinse a tornare alla sua tendina sul plateau. Marco allora cercò di aiutarlo in tutti modi a superare quella terribile situazione sul plateau, prima dicendogli che la tenda si stava strappando e poi richiamandolo ancora quando i tiranti stavano per sganciarsi dagli ancoraggi. Renato riuscì a superare quella terribile notte e ritornò al campo. E così raccontò a Goretta quella sua drammatica esperienza: “Sai, Goretta, che quella notte quando ho bivaccato al plateau sotto quella tormenta infernale, ho vissuto un’esperienza molto bella. Malgrado il vento, che sembrava volermi strappare dalla montagna, sono riuscito a dormire tranquillo, tanto c’eri tu che mi avvisavi quando ero in pericolo”. “E come ho fatto?” chiese Goretta. “Nel sonno, ad un certo punto, ho sentito la tua voce che mi diceva “Renato, guarda lì, sta’ attento!”. “Allora, mi sono seduto, mi son guardato attorno e ho visto la tenda che si stava strappando da un lato. Prima che fosse troppo tardi, sono riuscito a sistemarla. Mi sono rimesso a dormire. Dopo un po’ mi hai chiamato di nuovo, dicendomi ancora di stare attento. Questa volta i tiranti della tenda si stavano sganciando dagli ancoraggi. Alla fine ho ripreso a dormire tranquillo: ero sicuro che se ci fossero stati altri problemi mi avresti avvisato in tempo”.

Marco era riuscito a salvare Renato nel suo primo tentativo di scalare lo Sperone Sud Sud-Ovest. Ma Renato non era uno che si arrendeva facilmente: ritentò una seconda volta, ma anche in tale occasione dovette rinunciare per il maltempo. Anche il successivo tentativo sarebbe fallito: tra l’altro, prima di quel terzo tentativo, Renato aveva detto che sarebbe stato l’ultimo, motivando la sua decisione con Goretta con queste parole: “Vorrei provare ancora una volta […] c’è qualcos’altro che mi spinge ad un ultimo sforzo. E tu sai qual è […]. Certe risposte che speravo di ottenere non sono ancora riuscito a trovarle. Credo che in alto, molto in alto sul K2 ci sia la chiave della mia ricerca”. Marco non poteva ascoltare quelle parole senza implorare Goretta di dissuaderlo, di dirgli che non aveva bisogno di ottenere altre risposte dalla sua vita, perché tutta la sua vita era stata la risposta ai suoi sogni di ragazzo. Goretta parve quasi sentirlo: “Forse tu non te ne sei reso conto, ma secondo me molte risposte le hai già avute. […] Forse la verità si trova nelle risposte più semplici”. Le successive parole di Renato gelarono il sangue di Marco: “Può darsi che tu abbia ragione, ma sento che lassù si deve compiere qualcosa. Però se pensi che non debba ritentare, non lo farò. Vuol dire che dobbiamo tornare a casa. La decisione finale la lascio a te”. Marco, per un attimo si illuminò: Goretta, ora digli che dovete tornare a casa, digli che il tuo amore per lui è la risposta più grande che poteva trovare e che ritrovarvi insieme è il dono più importante. Dai, Goretta diglielo ora! Goretta stava per dirgliele quelle parole, stava per riportare Renato a casa. Ma, improvvisamente, cambiò espressione e, con dolore, gli fece il dono d’amore più grande che una persona possa fare alla persona amata: quella di saper rinunciare a lei, se questo rappresenta il suo bene e il suo realizzarsi. “E io non riesco a prenderla questa decisione: è una responsabilità troppo grande. Il mio istinto mi suggerisce di impacchettare tutto e di scendere a valle. Ma una parte di me mi trattiene: e chi porto a casa? Un uomo che forse poi si sarebbe pentito di avermi ascoltato? Una persona che avrei privato di una parte troppo importante di sé? Sarebbe rimasto il medesimo Renato? Era il mio compito decidere per lui? Ho tanta tristezza e un macigno dentro lo stomaco, Ma dalla mia bocca non escono le parole: “Andiamo a casa”. Anche se è quello che più desidero in questo momento”.

Forse, allora, al nostro destino, non si può davvero sfuggire perché Renato non riuscì a completare il terzo tentativo e dovette tornare indietro. Ma ancora una volta, Renato non si arrese e tentò una quarta volta. Marco non poté fare a meno di constatare amaramente: “Non te l’ho mai detto prima, ma attento, Renato, che tu, sul K2 ci resti” e Goretta fece sue quelle ultime parole. Non riuscì a non dirle a Renato che, però, come al solito le assicurò che sarebbe tornato.

Anche quest’ultima volta, però, il tempo peggiorò rapidamente e Renato decise allora di tornare definitivamente al campo base e di abbandonare la sua impresa. Goretta lo seguì nella sua discesa, come faceva sempre con il binocolo dal campo. Renato scendeva velocemente e nulla lasciava presagire quanto sarebbe poi accaduto. Ma, come detto, il destino non si dimentica mai di noi e, prima o poi, ci si ripresenta e si compie.

Kurt Diemberger chiese a Goretta di collegarsi via radio con Renato: aveva visto, infatti, una persona scomparire sul ghiacciaio ormai a pochi minuti dal campo. Goretta dapprima non voleva (si sentivano a orari prestabiliti), ma quella volta lo fece, quasi per un oscuro presentimento. E noi non possiamo fare altro che ascoltare quella drammatica conversazione con un rispettoso silenzio per il dramma che stava per compiersi.

Gori, sto per morire” riuscì a sussurrare Renato. ”Dove sei?” rispose Goretta angosciata. ”In un crepaccio, molto profondo”. “Cosa ti sei fatto”. “Sono rotto dappertutto. Non resisterò tanto a lungo”. Goretta organizzò subito i soccorsi e continuò a parlare con lui fino a quando non dovette cedere la radio ai soccorsi che dovevano ritrovarlo. Soccorsi che riuscirono prima a trovarlo (Marco li guidò silenziosamente passo dopo passo fino al crepaccio) e poi a tirarlo fuori. Ma le sue condizioni apparvero subito gravissime. Con lui restarono Kurt e Gianni Calcagno, che si era calato nel crepaccio e lo aveva riportato in superficie. Accanto a loro restò anche Marco, che li osservava con il cuore spezzato. Uno dei soccorritori (Agostino Da Polenza), tornato al campo, disse con angoscia a Goretta: ”L’abbiamo tirato fuori. È ancora vivo, ma non sperare che passi la notte”. Ciononostante, al crepaccio salì anche un medico, per non lasciare nulla di intentato. Ma all’alba, dopo un ultimo contatto radio, Agostino si recò nella tenda di Goretta e le diede la notizia della morte di Renato…

Goretta decise di seppellire Renato nel crepaccio in cui era caduto: quella doveva essere la sua ultima casa, perché nessun’altra decisione avrebbe reso onore a quell’incredibile uomo di montagna, che alla montagna aveva dato tutto, anche la sua vita. Marco rimase ancora un momento sul bordo del crepaccio e recitò una preghiera, bagnata dalle sue lacrime amare. Ormai rimasto da solo vicino alla tomba di Renato, senza nessun rumore intorno, un fascio di luce abbracciò lui e l’uscita del crepaccio, illuminando a giorno anche il suo interno. Marco riuscì a scorgere per l’ultima volta il corpo di Renato e, subito dopo, venne trasportato nel… [continua].

Il libro è la testimonianza straordinaria di colei che ha amato fino alla fine il suo uomo: uno straordinario alpinista, ma soprattutto un compagno di vita pieno di amore per la sua donna. Il libro ci rapisce fin dalla prima pagina, facendoci entrare nelle imprese di Casarotto, ma anche nel privato dei sentimenti e delle paure che hanno accompagnato gli anni del rapporto tra Renato e Goretta e del rapporto con le montagne della loro vita. Tra queste, entra sicuramente di diritto il K2, montagna del sogno, ma anche della morte e che per sempre resterà scolpita nella mente e nel cuore di Goretta.

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Goretta sale da sola sulla vetta…